L'abc dell'operatore socio sanitario

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Eserciziario per OSS 4

DOMANDE & RISPOSTE > Inaspettate e imprevedibili > 1° Parte

Prova orale ASL 8 Cagliari
La commissione esaminatrice rivolge al candidato questa domanda :


Il paziente in area critica: La Dialisi


A questo proposito per un approfondimento riteniamo utile pubblicare una guida della USL di Treviso moltoutile per i pazienti e nello stesso tempo per l'operatore socio sanitario.

Breve guida alla Dialisi
Azienda USL 9 Treviso
CARATTERISTICHE GENERALI DELLA DIALISI

Indice
Parte prima
Cose la dialisi?
Perché sono costretto a sottopormi alla dialisi?
Il fatto che io abbia sofferto di crampi molto dolorosi nel tentativo di raggiungere il peso secco fissato dal medico potrebbe dimostrare che il medico ha fatto una valutazione sbagliata? Perché a qualche paziente sono state asportate chirurgicamente le ghiandole paratiroidi?
Che cos’è il peso secco di cui spesso parlano i medici e gli infermieri?
Cosa posso fare per evitare questa malattia?
Perché misi raccomanda di fare un uso molto moderato di latticini nella dieta?
Perché è importante il potassio? Cosa succede se il potassio nel sangue è troppo alto?
Cosa devo fare se si manifestasse questa fame d’aria improvvisa?
Seconda parte
Consigli sull’alimentazione e sulle abitudini di vita
Perché i medici e gli infermieri continuano a ripetermi che devo bere poco?
Perché all’inizio della dialisi vengo punto con due aghi, mentre con altri pazienti si usa un
solo ago?
Perché qualche paziente viene dializzato con catetere in una vena del collo?
Dei due tipi principi di depurazione ematica del sangue, emodialisi e dialisi peritoneale,
qual è quello più conveniente?
Quali criteri vengono utilizzati dal medico per stabilire il tipo di dialisi più idoneo alle
esigenze dei diversi pazienti?
Perché sono stato costretto ad iniziare la dialisi nonostante urinassi ancora
“normalmente”?
Perché la durata della mia dialisi è di quattro ore, mentre il mio vicino di letto resta
attaccato alla macchina per tre ore e mezza?
Perché alcuni pazienti dializzati continuano a emettere una buona quantità di urina,
mentre altri non urinano più?
Perché ho dovuto sottopormi in due anni a tre interventi chirurgici per l’allestimento della
fistola, mentre il mio vicino di letto da dieci anni utilizza sempre la stessa fistola?
Com’è possibile accorgersi del cattivo funzionamento della fistola?
Perché i filtri e i monitors utilizzati non sono tutti dello stesso tipo?
Che cos’è un collasso e perché si verifica?
Prima che iniziassi la dialisi, i medici e la dietista mi raccomandavano di mangiare cibi a
basso contenuto di proteine (carne, pesce, formaggi). Da quando ho iniziato la dialisi, mi
dicono di fare esattamente il contrario, con l’eccezione dei formaggi. Perché devo
cambiare dieta?
Quale funzione hanno le iniezioni che una o più volte alla settimana vengono fatte sotto
la pelle della maggior parte dei dializzati? Perché i pazienti a cui vengono fatte queste
iniezioni ricevono anche del ferro endovena?
Cos’è l’epatite come si trasmette questa malattia?
È elevato il rischio di ammalarsi di epatite per i dializzati?
Quali disturbi compaiono quando ci si ammala di Epatite da virus C?
È possibile per un dializzato avere una normale attività sessuale?
Da quando ho iniziato la dialisi ho notato una diminuzione del desiderio sessuale e
anche della capacità di avere un normale rapporto sessuale. Quali sono le cause? È
possibile trovare un rimedio?
Il fumo è dannoso alla salute del paziente dializzato?
Io e mia moglie vorremmo avere un figlio. Pensa che sia possibile? Che rischi corre il
bambino di avere la mia stessa malattia?
Io e mio marito vorremmo avere in figlio. Pensa che sia possibile?
3
Terza parte
Il trapianto renale è possibile per tutti i pazienti sottoposti a dialisi extracorporea o
peritoneale?
Se io, che ho 65 anni, trovo un amico disponibile a donarmi un rene, posso essere
sottoposto al trapianto?
Come mai io sono in lista di attesa di trapianto da oltre tre anni e non sono stato mai
chiamato per il trapianto, mentre il paziente che era in dialisi nel letto vicino al mio è stato
chiamato dopo un solo anno?
Quante probabilità di riuscita ha un trapianto renale ? C’è maggiore rischio per la vita del
paziente con la dialisi o con il trapianto?


Cos’è il rigetto di cui si sente tanto parlare ?
Come si fa a riconoscere tempestivamente il rigetto?
Esistono cure efficaci contro il rigetto?
Quali sono le principali complicanze causate dalla terapia antirigetto?

Per quanto tempo è in grado di funzionare bene un rene trapiantato? Quando il rene
trapiantato non funziona più bene, cosa succede?
Un paziente che è costretto a tornare in dialisi per l’insuccesso del trapianto può sperare
di ricevere un altro trapianto con esito migliore?

Cos’è la dialisi?
Perché sono costretto a sottopormi alla dialisi?

La principale funzione dei reni è quella di depurare, attraverso l’urina, il sangue dalle sostanze che il corpo elabora partendo da tutto ciò che ad esso giunge dal mondo esterno(alimenti, farmaci, etc).
Le malattie renali più gravi privano i reni di questa capacità Si parla di
insufficienza renale acuta (nota a molti come “blocco renale”) quando la funzionalità renale viene compromessa in breve tempo nel corso di varie malattie che colpiscono il corpo. In una buona percentuale di casi l’insufficienza renale acuta può regredire con le opportune cure (compresa la dialisi) .
Si parla invece di
insufficienza renale cronica quando la compromissione della funzione dei reni è graduale : nella maggior parte dei casi sono necessari molti anni o addirittura decenni perché i reni siano privati completamente della loro capacità depurativa.
In entrambi i tipi di insufficienza renale le urine , che in una persona sana sono piene dei prodotti tossici eliminati dai reni, contengono solo una minima quantità di queste tossine. La parte maggiore si accumula nel sangue in quantità crescente. Quando questa quantità supera un determinato livello, espresso da semplici esami di laboratorio (Azotemia ,Creatininemia) ,viene messa in pericolo la vita del paziente, che è costretto a iniziare la dialisi. Con il termine generico di “
dialisi” si definiscono alcuni metodi con il quale è possibile togliere dal sangue le sostanze tossiche che si sono accumulate.
I due principali tipi di dialisi sono la
dialisi extracorporea e la dialisi peritoneale.
Per semplicità di comprensione identificheremo la dialisi extracorporea con l’emodialisi. In realtà nel termine “dialisi extracorporea” vanno comprese, oltre alla emodialisi tradizionale, utilizzata in oltre l’80% dei pazienti, anche altre metodiche di depurazione più complesse denominate emodiafiltrazione , con le sue varianti HFR e AFB (dalle iniziali delle parole inglesi che le identificano), ed emofiltrazione. Queste metodiche vengono solitamente riservate a pazienti che presentano problemi clinici particolari o che non tollerano la dialisi tradizionale.
Nella Emodialisi il sangue esce dal corpo e passa in un circuito esterno formato da sottili tubi di materiale plastico e al centro del quale si trova un filtro, a forma di cilindro, che al suo interno è costituito da sottilissimi canalicoli costituiti da una membrana che permette il passaggio delle sostanze tossiche , ma non di altre sostanze, come le proteine del sangue, che sono indispensabili al corpo umano.
Da una parte della membrana passa il sangue, dall’altra un liquido che ha una composizione nota, definito liquido di dialisi o dialisato, la cui funzione è da una parte quella di eliminare le sostanze tossiche provenienti dal sangue, dall’altra quella di garantire che al termine della dialisi la composizione di sali del sangue sia analoga a quella di una persona sana.
Il filtro è collegato a una macchina ,definita “monitor” o “ rene artificiale”, la quale , attraverso un sofisticato sistema di controllo, garantisce che la circolazione del sangue all’esterno del corpo (da ciò la definizione di “dialisi extracorporea”) avvenga regolarmente.
Nella dialisi peritoneale la funzione del filtro viene svolta dal peritoneo, la sottile membrana che circonda i visceri contenuti nell’addome di ogni uomo. All’interno della cavità addominale viene introdotto, attraverso un catetere di plastica (posizionato una sola volta con un semplice intervento chiurgico della durata di pochi minuti), un particolare liquido, di composizione analoga al dialisato utilizzato nell’emodialisi. Le tossine che si sono accumulate nel sangue passano dai piccoli vasi (capillari) del peritoneo nel liquido introdotto e
dall’addome vengono scaricati all’esterno , attraverso il catetere che era servito ad introdurre il liquido.

Dei due tipi principali di depurazione ematica del sangue, emodialisi e dialisi peritoneale, qual è quello più conveniente per il paziente?

Proprio perché i pazienti sono assai diversi fra di loro non si può dare una risposta che sia valida per tutti i malati.
Entrambi i metodi di depurazione hanno vantaggi e svantaggi. Fra i vantaggi dell’emodialisi, ormai praticata quasi esclusivamente in ospedale, c’è quello di potere essere fatta senza coinvolgere i familiari del paziente per poche ore (raramente più di dodici) alla settimana. Fra gli svantaggi maggiori c’è quello di doversi recare mediamente tre volte alla settimana in ospedale e di dovere dipendere soprattutto dal buon funzionamento della fistola, che , come abbiano visto, non è assicurato per tutti i pazienti.
Il principale vantaggio della dialisi peritoneale è quello di potere essere eseguita presso il domicilio del paziente, dopo un adeguato periodo di addestramento. E’ inoltre più facile per il paziente in dialisi peritoneale recarsi in località diverse da quelle di residenza, ad esempio per le vacanze estive.
Fra gli svantaggi possiamo citare la necessità di effettuare la depurazione ogni giorno (in alcuni casi ogni notte utilizzando una macchina che esegue gli scambi automaticamente mentre il paziente dorme), il pericolo di contrarre delicate infezioni al peritoneo (peritoniti) o alla cute e al sottocute nella zona dove fuoriesce dall’addome il catetere di materiale plastico. Queste complicanze si verificano se il paziente non osserva scrupolosamente le norme igieniche indicate durante il periodo di addestramento.
La scelta di un tipo di dialisi , quando si è costretti a iniziare la depurazione cronica, non deve essere vista come definitiva e immutabile. E’ vero invece che, nella maggior parte dei casi, è possibile passare dalla emodialisi alla dialisi peritoneale e viceversa e per molti pazienti è possibile passare da uno di questi metodi al trapianto renale.
Accessi vascolari
Perché ho dovuto sottopormi in due anni a tre interventi chirurgici per l’allestimento della fistola, mentre il mio vicino di letto da dieci anni utilizza la stessa fistola?

La fistola artero-venosa è una comunicazione fra un’arteria e una vena dell’avambraccio o del braccio che viene creata con un intervento chirurgico che può essere eseguito in Nefrologia o in Chirurgia. Questo intervento permette al sangue di passare direttamente dall’arteria, dove ha una velocità molto elevata, alla vena senza passare dai piccoli vasi della mani, chiamati capillari, nei quali invece la velocità del sangue è minima. Questo permette alla

vena di dilatarsi, cioè di aumentare il proprio calibro , in modo da essere più facilmente pungibile all’inizio di ogni seduta emodialitica. Perché la vena aumenti di calibro in modo tale da essere pungibile, deve passare un periodo di tempo di almeno 20 – 30 giorni.
Le arterie e le vene dei diversi malati sono molto diverse fra di loro, soprattutto in relazione alle diverse età. L’arteriosclerosi, che potremmo definire il processo di invecchiamento delle arterie, colpisce in modo diverso le persone. Aspetti ereditari, alimentari (diete ricche di zuccheri e di grassi), igienici (fumo di sigarette), assieme alla presenza di malattie che colpiscono diversi organi del corpo (ad es. il diabete)sono fra quelli che più condizionano il precoce, invecchiamento delle arterie.
E’ evidente che l’intervento di allestimento della fistola e il successivo aumento di calibro della vena del braccio sono più agevoli nei pazienti che non presentano i fattori di rischio indicati, al quale si deve aggiungere una storia, tipica di molti pazienti, di lunghe cure a base di iniezioni endovenose che negli anni hanno provocato una sclerosi delle vene, cioè un indurimento della loro parete, il loro restringimento e talora una loro totale chiusura.
I pazienti che hanno arterie e vene “difficili” possono essere costretti a sottoporsi a ripetuti interventi di preparazione chirurgica della fistola, perché le iniezioni necessarie alla esecuzione della emodialisi possono determinare delle alterazioni della parete della vena tali da non garantire un flusso del sangue sufficiente a garantire una corretta depurazione.

Come è possibile accorgersi del cattivo funzionamento della fistola?

Esistono diverse possibilità: può accadere che un lento deterioramento sia segnalato dagli infermieri al medico perché la fistola non riesce a garantire un flusso di sangue sufficiente alla normale esecuzione della dialisi, come appare dall’entrata in funzione di un allarme del monitor.
In questi casi il medico può agire programmando alcuni esami strumentali che aiutano a capire quale parte della vena è diventata più stretta. L’esame più semplice è l’eco-color doppler: attraverso un piccola sonda simile a un microfono che viene fatta passare sulla pelle sopra la fistola, è possibile individuare il restringimento o il coagulo che impedisce il buon funzionamento dell’accesso vascolare (è questa l’espressione più corretta, perché la fistola indica solo la comunicazione artificialmente creata fra arteria e vena). L’altro esame utilizzato in questi casi e’ l’angiografia: il radiologo inietta in una arteria o in una vena del braccio un liquido, definito “mezzo di contrasto”), che seguendo il normale flusso del sangue evidenzia quale punto del vaso (vena o arteria) presenta delle anomalie che non permettono il buon funzionamento dell’accesso vascolare. In altri casi più sfortunati l’accesso vascolare, che fino a poche ore prima appariva regolare, si “blocca” improvvisamente. Il paziente avverte talvolta un lieve dolore all’avambraccio, dopo il quale non è più in grado di apprezzare con la mano il caratteristico fruscio che un accesso ben funzionante emette. In questo caso è bene mettersi subito in contatto telefonico con il centro o con il medico di guardia del reparto. Infatti in alcuni casi se si interviene entro poche ore dalla chiusura (definita “trombosi” perché causata da un coagulo, chiamato “trombo”), è possibile ripristinare la normale funzione della fistola. Nella maggior parte dei casi però solo un nuovo intervento chirurgico è in grado di risolvere i problemi che abbiamo indicato. Negli ultimi anni, quale alternativa all’intervento in particolari casi selezionati, è possibile eseguire una manovra definita angioplastica: il radiologo, dopo avere evidenziato con l’angiografia il punto della vena che si è ristretto (tecnicamente si parla di stenosi), introduce al suo interno un catetere che ha vicino alla punta un piccolo palloncino, gonfiando il quale è in alcuni casi possibile determinare un allargamento del punto ristretto. In alcuni casi selezionati il punto ristretto viene dilatato con un tubicino, definito “stent”, che viene lasciato nel punto prima ristretto per impedire che la stenosi si possa formare di nuovo.

Perché qualche paziente viene dializzato con un catetere in una vena del collo?

Esistono diverse situazioni nelle quali il sangue esce dal corpo non attraverso l’ago posto nella parte venosa della fistola, ma attraverso un catetere posto in una grossa vena del collo ( giugulare o succlavia) o dell’inguine (vena femorale), denominato catetere venoso centrale. La più frequente è quella di pazienti affetti da grave Insufficienza Renale Acuta, di cui si è data la definizione all’inizio della prima parte . Lo stesso sistema viene usato anche quando, nel corso di malattie renali croniche, il peggioramento è così improvviso da non rendere possibile la preparazione di una fistola e la sua “maturazione“ (così si definisce talvolta il processo di dilatazione della vena cui si è accennato in precedenza) in tempi brevi. In questa circostanza il catetere viene utilizzato fino a quando non è pungibile con regolarità il tratto venoso della fistola.
Un’altra condizione è quella in cui si blocca improvvisamente la Fistola. Prima che si prepari chirurgicamente un nuovo accesso vascolare, si rende indispensabile l’uso del catetere venoso centrale.
L’ultima condizione nella quale si rende indispensabile il catetere venoso centrale è quella, rara ma purtroppo presente, di pazienti i quali non hanno più vene delle braccia utilizzabili per la preparazione chirurgica della fistola. In questo caso si usano cateteri particolari, ideati e costruiti per potere restare all’interno delle grosse vene del collo anche per alcuni anni .

Perché all’inizio della dialisi vengo punto con due aghi, mentre con altri pazienti si usa un solo ago ?

La dialisi “normale”, cioè quella eseguita dalla grande maggioranza dei pazienti, utilizza due aghi. Il primo viene posto nella parte di vena più vicina alla fistola, che per questo viene impropriamente chiamata “arteria”: da questo ago fuoriesce il sangue che, dopo essere circolato nelle linee esterne e nel filtro, rientra depurato nel corpo attraverso il secondo ago, che abitualmente viene posto nella stessa vena in cui è stato infisso il primo ago, in una posizione più vicina al gomito, oppure in una vena vicina . I due aghi non devono essere troppo vicini tra di loro, altrimenti vi è il rischio del cosiddetto “ricircolo”: l’ago “arterioso” anziché aspirare il sangue che deve ancora essere privato delle tossine, aspira quello che è appena rientrato nel corpo attraverso l’ago “venoso”, con l’evidente effetto di diminuire la efficienza complessiva della depurazione.
In alcuni pazienti meno fortunati il tratto di vena che si è dilatato dopo l’intervento di allestimento della fistola è molto breve e non consente l’infissione di due aghi. Si è costretti in questi casi a utilizzare un solo ago che, con l’aiuto di un sistema di pompe esterne intermittenti, permette sia di fare uscire il sangue da corpo che di farlo rientrare. La efficacia di questa dialisi (definita con monoago o ago singolo) è lievemente inferiore a quella della dialisi con doppio ago.
E’ buona norma che gli aghi non vengano infissi sempre nello stesso punto, ma che si attuino dei minimi cambiamenti ad ogni dialisi, al fine di evitare che la cute, sollecitata sempre nello stesso punto, reagisca con la formazione di cicatrici che, coinvolgendo anche la parete della vena, possono a lungo andare compromettere la buona funzionalità dell’accesso vascolare.
Perché i filtri ed i monitors utilizzati non sono tutti dello stesso tipo?
Esistono diversi modelli di filtri, costituiti da membrane di diversa composizione, perché i pazienti non sono tutti uguali, ma presentano caratteristiche diverse in relazione all’età, al tipo e alla durata della malattia che ha causato la insufficienza renale, alla pressione arteriosa, al peso, alla presenza di malattie che colpiscono altri organi, ad esempio il diabete.
Anche fra i monitors esistono differenze, anche se meno significative rispetto a quelle esistenti fra i molti modelli di filtri. Peraltro le macchine recentemente prodotte dalle principali aziende che operano nel settore della dialisi sostanzialmente si equivalgono per quanto riguarda affidabilità e prestazioni.
Perché la durata della mia dialisi è di quattro ore, mentre il mio vicino di letto resta “attaccato” alla macchina per tre ore e mezza?

Perché, come è stato già sottolineato, i pazienti sono fra di loro assai diversi per peso, età, malattia che ha portato alla dialisi, stato di nutrizione, situazione della Pressione Arteriosa, aumento di peso fra una dialisi e la successiva, etc. Il compito di un buon nefrologo è quello di scegliere per ogni paziente il tipo di dialisi con le caratteristiche (compresa anche la durata) che egli ritiene, in scienza e coscienza, la più idonea ad attuare una depurazione ottimale . Purtroppo non è facile fare capire questo semplice concetto a tutti i pazienti. Alcuni interpretano l’aumento della durata della seduta di dialisi come una punizione che essi non si sentono di meritare.
Quali criteri vengono utilizzati dal medico per stabilire il tipo di dialisi più idoneo alle esigenze dei diversi pazienti?

La domanda porta a chiarire il concetto di “Adeguatezza dialitica”, sul quale negli ultimi quindici anni si sono confrontati tutti i nefrologi del mondo. Vista dalla parte del nefrologo, la domanda potrebbe essere posta in questo modo: “ come devo fare a garantire a ogni paziente il tipo di dialisi che gli permetta di vivere il più a lungo possibile con una qualità della vita buona o almeno dignitosa?”.
L’adeguatezza della dialisi si valuta attraverso esami di laboratorio, che consentono di capire se le tossine vengono tolte in quantità elevata e attraverso il controllo accurato di alcune caratteristiche del paziente: il suo stato nutrizionale, la sua tendenza ad essere frequentemente colpito da infezioni, la capacità di svolgere una attività di lavoro simile ai propri coetanei non dializzati, etc. Dal momento che la stato di salute riguarda non solo il corpo, ma anche la mente, anche il benessere psichico del paziente è importante e una dialisi si può definire veramente efficace se contribuisce a evitare stati di depressione o di ansia gravi, legati alla vita difficile del dializzato.

Perché alcuni pazienti dializzati continuano ad emettere una buona quantità di urina, mentre altri non urinano più?
Le malattie che causano grave insufficienza renale sono molte e sono assai diverse tra di loro. Alcune, come le glomerulonefriti croniche, nella loro fase avanzata, che precede l’inizio della dialisi, causano una ritenzione idrosalina, cioè un accumulo di acqua e sali nel corpo che in alcune parti , come il volto e gli arti inferiori è bene evidente e viene definito edema. Questa situazione si associa frequentemente a importante aumento della pressione arteriosa, che costituisce un elemento di pericolo serio per la stessa vita del paziente. Per questa ragione il medico è costretto a fare una scelta fra il mantenere anche dopo l’inizio della dialisi il paziente in questa situazione anomala e assai pericolosa di ritenzione idro-salina, per consentirgli di continuare ad urinare, e quella opposta di ridurre, per mezzo della dialisi, la quantità di acqua e di sali che si sono accumulati nel corpo. Questa seconda scelta, che viene ritenuta la più sicura per la maggior parte dei pazienti, causa una progressiva riduzione della diuresi, fino alla sua pressocchè totale scomparsa.

Perché sono stato costretto ad iniziare la dialisi nonostante urinassi ancora “normalmente”?

L’emissione di abbondante quantità giornaliera di urina non vuol dire che i reni del paziente funzionino bene. Infatti se dosiamo nelle urine di un paziente che inizia la dialisi cronica le tossine che le urine devono eliminare, ci accorgiamo che la loro quantità è molto bassa e assolutamente insufficiente a evitare il loro accumulo nel sangue. In altre parole, in alcuni pazienti la Insufficienza Renale Cronica ha compromesso gravemente e in modo irreversibile la capacità di depurazione dei reni, i quali però hanno mantenuto una discreta capacità di eliminare l’acqua e i sali del corpo.

CONSIGLI SULLE ABITUDINI DI VITA


Perché i medici e gli infermieri continuano a ripetermi che devo bere poco?

Perché quasi tutti si sono trovati, almeno una volta, di fronte alle conseguenze, molto gravi per il paziente ,di un aumento eccessivo di peso fra una dialisi e un’altra.
Come si è detto nella prima parte, la maggior parte dei pazienti in dialisi urina molto poco o non urina affatto. Pertanto i liquidi che si introducono con l’alimentazione, con l’eccezione di circa mezzo litro che viene eliminato con la respirazione e attraverso la pelle, si accumulano nel nostro corpo , sia dentro i nostri vasi sanguigni che al loro esterno (ad esempio sotto la pelle e nei polmoni). Se la quantità di liquido accumulato supera le capacità del cuore di svolgere la sua azione di pompa, il cuore si scompensa acutamente e il paziente avverte
una “fame d’aria” (tecnicamente definita dispnea) che lo obbliga a passare dalla posizione distesa a quella seduta e a respirare affannosamente. Nella sua manifestazione più grave questa “fame d’aria” viene definita “edema polmonare acuto”, condizione che mette in pericolo la vita stessa del paziente.
Cosa devo fare qualora si manifestasse questa fame d’aria improvvisa?

Naturalmente il primo consiglio è quello di evitare di arrivare all’edema polmonare, introducendo una quantità di liquidi non eccessiva. A questo proposito è bene ricordare che quando il medico parla di liquidi non si riferisce soltanto all’acqua, ma anche alle altre bevande (caffè, latte, succhi di frutta, etc.).
L’acqua è presente in alta percentuale anche altri in altri cibi, quali le minestre (in brodo o di verdure), la frutta (guardatevi da angurie e meloni nella stagione estiva …), la verdura.
Ciò non vuol dire che i cibi appena elencati debbono essere banditi dalla tavola del dializzati , ma che se ne deve fare un uso moderato, soprattutto nell’intervallo interdialitico più lungo, cioè dal venerdì al lunedì o dal sabato al martedì.
Tornando alla domanda, qualora comparissero i sintomi su indicati (per lo più ciò accade la notte di domenica o di lunedì) , è prudente che il dializzato sia accompagnato d’urgenza al Centro Dialisi preso il quale esegue abitualmente il trattamento, dopo che si è informato telefonicamente il personale dell’imminente arrivo.
Questa spiegazione minuziosa è spiegata dal fatto che l’unico rimedio per l’edema polmonare acuto del dializzato è la dialisi urgente, che è possibile eseguire anche di notte.

Che cos’è il peso secco di cui spesso parlano i medici e gli infermieri ?

Il peso secco è il peso del paziente alla fine della dialisi che garantisce che è stata tolta tutta o la maggior parte dell’acqua in eccesso che si è accumulata nei due o tre (in caso di intervallo lungo) giorni precedenti. Il medico utilizza diversi accorgimenti per giudicare se il paziente ha raggiunto il peso secco reale. Oltre alla visita medica tradizionale, che permette di valutare se vi sono edemi (accumulo di liquido sotto la pelle, evidente soprattutto al volto e alle gambe), se l’attività cardiaca è regolare e se l’auscultazione del polmone evidenzia rumori patologici che di solito si accompagnano ad accumulo di liquidi, negli ultimi anni ha imparato ad utilizzare la bioimpedenza . Si tratta di un esame molto semplice che , analizzando le modalità con le quali una corrente elettrica innocua si propaga lungo il corpo, permette di raccogliere utili informazioni sul reale stato di idratazione del paziente, cioè sulla quantità di liquidi presenti nel suo corpo.
E’ fondamentale ricordare che il peso secco è soggetto a variare nel tempo. Se il paziente fa una vita sedentaria e mangia molto, nel giro di un breve periodo (settimane o mesi, non di giorni come qualche paziente sostiene per giustificare un aumento di 4 o 5 Kg fra una dialisi e la successiva !) il peso aumenterà. In questo caso sarà giusto che il medico fissi a un valore più alto il peso secco. Analogamente il peso può variare nei periodi molto caldi dell’anno. Nei mesi estivi tutti tendiamo a mangiare di meno e a bere più del solito e i pazienti in dialisi non fanno eccezione. Per molti pazienti si può verificare che il peso sia lo stesso dell’inverno o della primavera precedente , ma questo peso è determinato da una diminuzione dei muscoli e del grasso e da un aumento dell’acqua del corpo. Il segno tipico di questo sbilanciamento è l’aumento della Pressione Arteriosa, che pochi mesi prima, con lo stesso peso, era ben controllata.
Questa è la ragione del calo del peso secco che talvolta il medico consiglia nel corso dell’estate.

Il fatto che io abbia sofferto di crampi molto dolorosi nel tentativo di raggiungere il peso secco fissato dal medico potrebbe dimostrare che il medico ha fatto una valutazione sbagliata?

Anche se questo non si può escludere a priori , si deve tenere presente che la comparsa dei crampi non è legata a un determinato peso indicato dalla bilancia. E’ in realtà causato da una sottrazione di liquidi e di sali eccessiva per la sensibilità dei muscoli del paziente . Per cercare di essere più chiari : se un paziente è cresciuto di 5 Kg dal termine di una dialisi a quella successiva, passando da 70 a 75 Kg, e il medico imposta un calo di 4 Kg nel corso della seduta di 4 ore, il paziente può avvertire crampi 15 minuti prima dello “stacco”, anche se il suo peso è di oltre 71 Kg, cioè oltre un chilo sopra il peso raggiunto al termine della dialisi precedente. Se il medico impostasse un calo corporeo di soli 3 Kg, programmando un peso secco di 72 Kg, quasi certamente non comparirebbero crampi, ma il paziente potrebbe correre, prima della dialisi successiva, i gravi pericoli da accumulo di acqua e sali che sono già stati descritti. In molti casi il medico consiglia di raggiungere il peso secco con gradualità, cioè nel giro di due o tre sedute di dialisi, proprio per evitare che si manifestino crampi o collassi. Alcune volte è proprio il paziente, consapevole di avere bevuto in eccesso, a chiedere che il calo di peso sia maggiore di quello usuale (ad es. di 1 kg l’ora, anziché di 800 ml), propiziando in questo modo (se il medico accoglie la richiesta) la comparsa delle complicanze citate.
Che cos’è un collasso e perché si verifica ?

Per collasso si intende un brusco abbassamento della pressione arteriosa che si verifica nel corso della dialisi e che può manifestarsi in diversi modi. Alcune volte il paziente avverte un senso di vuoto allo stomaco o di malessere generale, accompagnato o meno da sudorazione. Nei casi più gravi si ha perdita di conoscenza, perché non arriva una quantità adeguata di sangue al
cervello. La causa principale del collasso è la stessa dei crampi, cioè la eccessiva sottrazione di liquidi rispetto alle capacità di sopportare queste variazioni da parte del corpo del paziente.Il rimedio è pertanto la brusca infusione, attraverso un flacone sempre presente nel circuito esterno, di liquido (solitamente di tratta di una soluzione di sale) nel corpo del paziente. Spesso bastano piccole quantità di liquido a permettere che il paziente non avverta più disturbi o riprenda conoscenza.
E’ possibile per un dializzato avere una normale attività sessuale?

La insufficienza renale cronica non impedisce di per sé una attività sessuale simile a quella che hanno le persone della stessa età che non sono sottoposte a dialisi.
Questo è vero se le condizioni generali e in particolare quella del cuore sono normali, come accade in molti dializzati . Se tuttavia la pressione arteriosa è molto alta e gli esami del cuore dimostrano una grave sofferenza , si deve discutere col nefrologo e con il cardiologo la propria situazione per avere una risposta adeguata alle condizioni del singolo paziente.Da quando ho iniziato la dialisi ho notato una diminuzione del desiderio sessuale e anche della capacità di avere un normale rapporto sessuale.
Quali sono le cause?
E’ possibile trovare un rimedio?

La diminuzione del desiderio sessuale e della capacità di avere normali rapporti è un evento non raro nel paziente dializzato , sia maschio che femmina.
Le cause possono essere diverse. Alcune volte sono alterati il livelli del sangue di alcuni ormoni che controllano questa sfera dell’attività umana. Altre volte la causa è di tipo psicologico . La più frequente è la convinzione di uno o entrambi i componenti della coppia che l’attività sessuale possa essere dannosa per il/la paziente. In molti casi è possibile porre un rimedio a questa anomalia, sia utilizzando farmaci idonei (dopo consulenza dell’andrologo e/o del ginecologo) che avvalendosi dell’aiuto di uno psichiatra o uno psicologo.
Io e mia moglie vorremmo avere un figlio. Pensa che sia possibile? Che rischi corre il bambino di avere la mia stessa malattia ?

Non è possibile dare una risposta certa se non si sa se la coppia era fertile prima della malattia renale del marito. Se prima avete avuto già un figlio, si sa che non esistono problemi per la moglie. Si tratta di accertare se la malattia renale, e ancor più certi farmaci che possono essere dati nel corso delle malattie renali, hanno determinato alterazioni nella capacità riproduttiva del coniuge malato. Esistono dei semplici esami che ci possono aiutare a chiarire la situazione. Se invece in passato non ci sono state gravidanze, è bene discutere la cosa con l’endocrinologo che darà le indicazioni corrette per valutare la capacità riproduttiva della coppia.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, fra le malattie che portano alla insufficienza renale e alla dialisi, quelle ereditarie sono molto poche percentualmente (le più note sono i reni policistici e la sindome di Alport).
Nei Centri di Genetica è possibile effettuare delle ricerche sul sangue al fine di evidenziare quante possibilità ci sono che la malattia renale si trasmetta ai figli.

Io e mio marito vorremmo avere un figlio. Pensa che sia possibile ?

La insufficienza renale cronica, con il suo accumulo nel sangue di sostanza tossiche, e i farmaci che la donna ha dovuto spesso assumere per cercare di curare la malattia renale causano nella maggior parte delle donne in età fertile una sterilità . Sono descritti nella letteratura medica alcuni casi di donne che ,sebbene in dialisi cronica, sono riuscite a portare a termine una gravidanza. Si tratta tuttavia di casi che vengono descritti nelle riviste mediche proprio per la loro eccezionalità. Infatti il rischio di perdere il bambino prima del termine della gravidanza è molto elevato.

Il fumo è dannoso alla salute del paziente dializzato?

Il fumo è dannoso per ogni uomo e quindi anche per il dializzato. Vale la pena di aggiungere che i mezzi di informazione evidenziano spesso il rapporto fra fumo di sigaretta e tumore del polmone, ma dimenticano spesso il rapporto che c’è fra il fumo e le malattie delle arterie. E’ ormai accertato che il rischio di invecchiamento precoce delle arterie, comprese le coronarie che portano il sangue al cuore, è molto maggiore nei fumatori. Il buon funzionamento del cuore, delle arterie e delle vene (definiti nel loro insieme apparato cardiovascolare) è estremamente importante per il futuro di ogni dializzato. Un buon apparato cardiovascolare ha consentito ad alcuni pazienti di sopportare la dialisi per oltre venti anni (alcuni casi lo testimoniano anche nel nostro Centro).
Per coloro che desiderano sottoporsi a un trapianto renale, è doveroso ricordare che il fumo può contribuire a compromettere le grosse arterie dell’addome inferiore (arterie iliache) alle quali si deve unire il rene trapiantato.


CONSIGLI SULL’ALIMENTAZIONE

Perché è importante il Potassio ? Cosa succede se il potassio nel sangue
è troppo alto?

Il potassio è, assieme all’acqua e agli alimenti liquidi in generale, il nemico n.1 del dializzato. Il potassio è presente in quantità elevata in alcuni alimenti ( i più noti sono le banane, le patate, la frutta secca, la cioccolata) e in quantità media o bassa negli altri. Nel soggetto con reni funzionanti il Potassio viene eliminato attraverso l’urina. Quando la quantità di urina emessa giornalmente si riduce o addirittura si azzera, il potassio introdotto con gli alimenti si accumula nel sangue ,al quale arriva anche quello che, a causa dell’acidità del sangue tipica della malattia renale cronica, esce dalle cellule del corpo. Appena un paziente inizia il trattamento dialitico cronico, riceve dal personale infermieristico un foglio che contiene un elenco di alimenti con il rispettivo contenuto in Potassio. Queste attenzioni sono dovute al fatto che un livello troppo elevato di Potassio nel sangue può causare aritmie cardiache, cioè delle irregolarità nelle pulsazioni del cuore. Le aritmie più gravi possono determinare l’arresto del cuore. E’ di fondamentale importanza riconoscere quali sono i sintomi dell’iperpotassiemia, cioè del livello troppo alto di Potassio nel sangue: i muscoli degli arti, soprattutto delle gambe, sembrano improvvisamente deboli e incapaci di sostenere la persona, spesso sono presi da tremori, le pulsazioni cardiache appaiono anomale e irregolari. Soprattutto se si ha la consapevolezza di avere mangiato cibi ad alto contenuto di potassio, è indispensabile raggiungere d’urgenza il Centro Dialisi, seguendo gli stessi accorgimenti indicati per l’accumulo di acqua . Infatti, analogamente a quanto accade con l’edema polmonare acuto, la vita del paziente è veramente in pericolo e la dialisi urgente è l’unico rimedio. Per impedire che il potassio raggiunga livelli troppo alti nel sangue, mettendo in pericolo la vita, viene raccomandata ad alcuni pazienti una polvere, costituita da particolari resine, da bere dopo che essa è stata sciolta in acqua o in altro liquido.
muscoli degli arti, soprattutto delle gambe, sembrano improvvisamente deboli e incapaci di sostenere la persona, spesso sono presi da tremori, le pulsazioni cardiache appaiono anomale e irregolari. Soprattutto se si ha la consapevolezza di avere mangiato cibi ad alto contenuto di potassio, è indispensabile raggiungere d’urgenza il Centro Dialisi, seguendo gli stessi accorgimenti indicati per l’accumulo di acqua . Infatti, analogamente a quanto accade con l’edema polmonare acuto, la vita del paziente è veramente in pericolo e la dialisi urgente è l’unico rimedio.Per impedire che il potassio raggiunga livelli troppo alti nel sangue, mettendo in pericolo la vita, viene raccomandata ad alcuni pazienti una polvere, costituita da particolari resine, da bere dopo che essa è stata sciolta in acqua o in altro liquido.


Perché mi si raccomanda di fare un uso molto moderato di latticini nella dieta?

Perché i latticini, cioè il latte e i cibi da esso derivati (formaggi, yogurt), sono l’alimento che contiene la maggiore quantità di Fosforo. Questa sostanza non viene più adeguatamente eliminata dai reni malati e, analogamente al Potassio, si accumula nel sangue, contribuendo a creare una grave malattia dell’osso chiamata osteopatia uremica, la quale può essere responsabile, se non adeguatamente curata, di gravi lesioni delle ossa. Fra le principali responsabili di questa malattia vi sono alcune piccole ghiandole (solitamente quattro) che si trovano nel collo, all’interno della ghiandola tiroide, e per questo sono chiamate paratiroidi. Queste ghiandole, a causa dell’elevato contenuto di Fosforo nel sangue e della diminuzione di Vitamina D (non più prodotta in misura adeguata dai reni malati), producono una eccessiva quantità di un ormone, denominato Paratormone, il quale nel tempo provoca una progressiva e pericolosa erosione delle ossa. Questa situazione viene definita iperparatiroidismo ed è assai frequente nei dializzati.
Cosa posso fare per evitare questa malattia ?

Oltre a assumere con la dieta quantità assai moderate di latticini, è indispensabile usare con regolarità certi farmaci (Maalox, Calcio Carbonato, Renagel, etc.) che hanno la capacità di legarsi al fosforo degli alimenti (per questo vengono chiamati “chelanti” del Fosforo) impedendo che il fosforo passi nel sangue e consentendone la eliminazione con le feci. Inoltre bisogna assumere con regolarità alcune compresse di Vitamina D (Rocaltrol, Difix, etc.) che il personale consegna alla fine della dialisi e che hanno la capacità di bloccare la produzione del paratormone e di aumentare l’assorbimento del Calcio nel nostro intestino. E’ opportuno precisare che i latticini sono l’alimento a più alto contenuto di Calcio, oltre che di Fosforo. Se quest’ultimo è dannoso, il Calcio è invece indispensabile . Per questo a molti pazienti il Calcio, oltre che con la dialisi (il liquido di dialisi ne contiene una elevata quantità), viene dato anche sotto forma di compresse.

Perché a qualche paziente sono state asportate chirurgicamente le ghiandole paratiroidi?

L’asportazione chirurgica delle ghiandole paratiroidi è un rimedio estremo al quale si deve ricorrere nei pazienti nei quali, nonostante la terapia medica, non si riesce a ridurre la produzione di paratormone. Prima dell’intervento si eseguono alcuni esami strumentali (ecografia e scintigrafia del collo sono i più comuni) che hanno la funzione di verificare quante ghiandole si sono ingrossate al punto da non consentire più una semplice terapia con farmaci. Nella quasi totalità dei casi l’intervento ha successo . In pochi casi rimane nel collo (o in altre sedi anomale) una piccola ghiandola che continua a produrre paratormone, anche se in quantità minore di quanto facessero tutte le ghiandole
Prima che io iniziassi la dialisi, i medici e la dietista mi raccomandavano di mangiare cibi a basso contenuto di proteine (carne, pesce, formaggi). Da quando ho iniziato la dialisi, mi dicono di fare esattamente il contrario, con l’eccezione dei formaggi.
Perché devo cambiare la dieta?
Una dieta a moderato contenuto di proteine ,presenti soprattutto nei cibi di derivazione animale, viene considerata dalla maggior parte dei nefrologi uno strumento utile a rallentare l’evoluzione delle malattie renali verso la fase in cui è indispensabile la dialisi.
Quando si è iniziata la dialisi, questa precauzione non serve più . E’ vero invece che una restrizione proteica eccessivamente prolungata nel tempo può causare una condizione di malnutrizione pericolosa per il paziente. Questo ha particolare valore per i pazienti in dialisi peritoneale, dal momento che dal sangue passano nel liquido , che quotidianamente esce dall’addome, oltre alle tossine anche gli aminoacidi, che sono “ i mattoni” che servono a costruire le proteine del nostro corpo.
Quale funzione hanno le iniezioni che una o più volte alla settimana vengono fatte sotto la pelle della maggior parte dei dializzati? Perché i pazienti a cui vengono fatte queste iniezioni ricevono anche del Ferro endovena?

La sostanza che viene iniettata sottocute è l’Eritropoietina. Pochi farmaci, nella storia della nefrologia, sono risultati così importanti e utili come l’Eritropoietina. Si tratta di una sostanza che nel soggetto sano viene normalmente prodotta dai reni e che ha la funzione di stimolare il midollo osseo a produrre i globuli rossi. Quando i reni si ammalano, non sono in grado di produrre l’Eritropoietina in quantità tale da controbilanciare l’effetto negativo che le tossine accumulate nel sangue hanno sul midollo osseo, il quale produce pertanto un minor numero di globuli rossi. La ridotta quantità di Emoglobina , il pigmento (cioè la sostanza colorante) dei globuli rossi, viene definita Anemia. L’eritropoietina può essere somministrata sotto la pelle oppure all’interno del circuito della dialisi. Per agire nel modo migliore l’Eritropoietina utilizza il Ferro presente nel nostro corpo. A lungo andare le riserve di ferro del corpo tendono ad esaurirsi : per questo per curare l’ anemia del dializzato è necessario somministrare ,oltre che Eritropoietina, anche il Ferro. La forma endovenosa di Ferro è molto più efficace di quella per bocca.Quest’ultima in parecchi pazienti è mal tollerata perché può dare bruciori allo stomaco. Inoltre può causare preoccupazione nel paziente, se il medico non ha spiegato che il ferro per bocca può dare un colore molto scuro, talvolta nerastro, alle feci, indicendo al sospetto di una perdita di sangue.
Prima della fine degli anni 80, data di inizio dell’uso dell’Eritropoietina, la maggior parte dei pazienti dializzati era costretta a sottoporsi a ripetute trasfusioni , indispensabili per correggere la grave anemia. La conseguenza delle ripetute trasfusioni è stato il numero elevato di casi di infezioni da Virus dell’Epatite che si registrava in quasi tutti i centri di dialisi fino alla fine degli anni 80.
Cos’è l’Epatite ? Come si trasmette questa malattia ?

Il termine “epatite” indica genericamente una infezione del fegato. Numerosi virus possono causare diverse forme di epatite. Fino alla fine degli anni 80, gli esami di laboratorio permettevano di riconoscere due tipi principali di Virus : il Virus dell’ Epatite A e quello dell’ Epatite B.Il primo si trasmette con alimenti inquinati (cozze, vongole, etc.) e raramente causa malattia grave. Il secondo invece si trasmette con il sangue infetto, sia nel corso di trasfusioni che nei casi in cui il sangue venga a contatto con le mucose ( ad esempio la congiuntiva degli occhi) o con la pelle in zone in cui questa presenta dei tagli o delle abrasioni. In molti dializzati gli esami di laboratorio periodici (aumento di determinate sostanze uscite dalle cellule danneggiate dal virus, denominate “transaminasi”) facevano tuttavia comprendere che esisteva un’altra forma di epatite ,diversa dalla epatite A e dalla B, per questo denominata fino al 1989 “Epatite nonA-nonB”. Si trattava di una malattia da cui erano colpiti soprattutto coloro che erano stati sottoposti a ripetute trasfusioni di sangue. Solo nel 1989 si diffuse in tutti il mondo il test di laboratorio che consentiva di capire quali donatori di sangue erano portatori del virus di questa terza epatite, denominato alla fine Virus dell’Epatite C (HCV). Fu possibile accertare che quasi tutte le forme di infezione nel dializzato erano causate da questo Virus.
E’ elevato il rischio di ammalarsi di epatite per i dializzati ?

Anche se il rischio è enormemente diminuito da quando, grazie all’eritropoietina, il numero di trasfusioni si è drasticamente ridotto e da quando il progresso nelle tecniche di laboratorio ci consente di determinare con molta maggiore accuratezza la presenza del Virus nel sangue, non si può dire che il rischio sia del tutto scomparso. Infatti è stato possibile accertare la presenza dei Virus delle Epatiti B e C in pazienti, dializzati e non, che non sono mai stati sottoposti a trasfusioni di sangue. Purtroppo, sia in ospedale che altrove, è possibile venire in contatto con sangue infetto anche senza ricevere delle trasfusioni (sale operatorie, manovre strumentali di vario tipo, iniezioni per cure o per assunzione di droghe, eccetera). Fortunatamente è stato possibile dimostrare che è sufficiente che il personale di assistenza ospedaliero applichi scrupolosamente le norme igieniche di carattere generale consigliate in ogni ospedale per impedire la diffusione delle malattie infettive perché anche le Infezioni da Virus delle Epatiti B e C diventino estremamente rare anche nei Centri di Dialisi.

Quali disturbi compaiono quando ci si ammala di Epatite da Virus C ?

In quasi tutti i casi il paziente non avverte nessun disturbo. Il medico capisce che si sta manifestando l’infezione perché, come già accennato, nota che si sono alterati alcuni esami del sangue (Transaminasi) che studiano il buon funzionamento del fegato. Nella maggior parte dei casi queste alterazioni durano alcuni mesi e poi scompaiono, anche se il Virus resta nel corpo. In un numero minore di casi invece le alterazioni degli esami del sangue che dimostrano una sofferenza del fegato possono durare anche per tutta la vita .

IL TRAPIANTO RENALE

Il trapianto renale è possibile per tutti i pazienti sottoposti a dialisi
extracorporea o peritoneale?

Purtroppo, allo stato attuale delle conoscenze mediche e della legislazione sanitaria del nostro paese, solo una percentuale non elevata dei pazienti dializzati può essere sottoposta al trapianto di rene. La prima limitazione è costituita dall’età del paziente che si sottopone a dialisi.
In questo momento in Italia il limite massimo di età è compreso fra 65 e 70 anni. In realtà l’età più avanzata non pregiudica da sola il successo del trapianto. Lo dimostra il fatto che in alcune nazioni europee, quali sono ad es. quelle Scandinave, con un numero di abitanti non elevato e una elevata disponibilità di donatori, sono sottoposti frequentemente a trapianto anche pazienti di età maggiore di 65 anni. E’ altresì vero che il paziente anziano porta nel proprio fisico i segni di malattie, non solo renali, che durano spesso da decenni. Si entra così nel secondo gruppo di limiti alla volontà dei pazienti dializzati di essere sottoposti al trapianto. Infatti non tutti i dializzati di meno di 65-70 anni di età possono essere sottoposti al trapianto, dal momento che la loro condizioni di salute complessiva non li rende idonei ad affrontare l’intervento chirurgico e la terapia anti-rigetto che si pratica con il trapianto. Questa idoneità viene data dai medici dei Centri di Dialisi di provenienza e successivamente dai medici del Centro Trapianti, sulla base dei risultati di una lunga serie di esami di laboratorio e strumentali, oltre che di visite specialistiche, che consentono di analizzare la funzione dei principali organi eapparati dell’organismo, in particolare del cuore e delle arterie (apparato cardiovascolare). .

Se io, che ho 65 anni, trovo un amico disponibile a donarmi un rene, posso essere sottoposto al trapianto?

Il trapianto renale da donatore vivente, che viene eseguito anche nel nostro paese, sebbene in percentuale assai ridotta rispetto al numero totale di trapianti, costituisce un tema assai delicato, per i risvolti di carattere psicologico e medico-legale connessi alla donazione.
Allo stato attuale delle cose in Italia solo i parenti stretti (genitori, fratelli o sorelle, marito o moglie purchè sposati da parecchi anni) possono donare un rene a un loro familiare costretto ad eseguire il trattamento dialitico. Questo accade perché si vuole evitare che nel nostro paese nasca una commercio di organi non accettabile dal punto di vista morale. Naturalmente non basta la volontà espressa di donare un rene a rendere una persona effettivo donatore. Infatti chi desidera donare un rene a un proprio familiare deve sottoporsi agli stessi esami che vengono richiesti al paziente candidato a ricevere un trapianto renale al fine di accertare che le condizioni generali di salute siano buone, che i reni siano ben funzionanti. Per un coniuge donatore è anche necessario che il gruppo sanguigno e i tessuti siano compatibili con quelli del coniuge candidato a ricevere il rene. Superata questa fase, il donatore deve esporre prima a un medico della Direzione Sanitaria dell’Ospedale, poi a una commissione del Centro Regionale per i Trapianti e infine a un magistrato le ragioni che lo inducono a donare, senza nessuna costrizione, un organo al proprio parente.
Come mai io sono in lista di attesa di trapianto da oltre tre anni e non sono stato mai chiamato per il trapianto, mentre il paziente che era in dialisi nel letto vicino al mio è stato chiamato dopo un solo anno?
Quasi certamente perché l’organismo del suo vicino ha delle cellule “più comuni” rispetto a quelle che ha lei.
Quando infatti un paziente si reca nel Centro Trapianti scelto per la visita di idoneità, viene sottoposto a un prelievo di sangue che viene utilizzato per un esame chiamato “tipizzazione linfocitaria”. Con questo esame, eseguito su particolari globuli bianchi chiamati linfociti, si determinano le caratteristiche dei tessuti del paziente, che si aggiungono al tipo già noto di Gruppo Sanguigno . Tali caratteristiche si inviano al Centro di Coordinamento del N.I.Tp (Nord Italian Transplant), che attualmente si trova a Milano, che lo introduce nella memoria di un computer. Quando si rendono disponibili gli organi di un paziente deceduto, il computer segnala quali sono i pazienti che hanno i tessuti più simili a quelli del donatori. I medici del centro trapianti devono attenersi all’ordine indicato dal computer, che può essere cambiato solo se il primo paziente presenta, al momento della chiamata dal Centro Trapianti, condizioni di salute (ad esempio infezioni) che rendono pericolosa l’esecuzione del trapianto.

Quante probabilità di riuscita ha un trapianto renale ? C’è maggiore rischio per la vita del paziente con la dialisi o con il trapianto?

Non è facile dare una risposta in termini numerici percentuali (50% o 70% o 90%) a questa domanda. Infatti la riuscita di un trapianto si misura su tanti elementi, fra i quali sono molto importanti gli esami di laboratorio e strumentali che misurano la funzione renale, ma è anche molto importante la qualità della vita che il trapianto può dare, soprattutto nel confronto con la qualità della vita che la dialisi riesce a dare. Grazie ai progressi che la Medicina ha fatto negli ultimi 20 anni nella cura del rigetto dei trapianti, si può affermare che la percentuale dei trapianti che hanno successo è nettamente superiore a quelli che non hanno un buon risultato e che la qualità della vita garantita da un trapianto che ha successo è senz’altro molto migliore di quella di una dialisi condotta senza particolare problemi. Per quanto riguarda i pericoli per la vita legati alla dialisi e al trapianto, si può dire che per un paziente con età e caratteristiche tali da potere affrontare con buone possibilità di successo un trapianto e che osserva scrupolosamente le indicazioni igieniche e alimentari indicate nella seconda parte di questa guida, i rischi per la vita sono assai limitati e , come già accennato, è possibile vivere anche decenni eseguendo la dialisi, soprattutto se si possiede un cuore in buone condizioni. La stessa cosa si può dire del trapianto: se il fisico tollera bene il rene “estraneo” e non si hanno pericolose complicanze con la terapia anti-rigetto, un paziente sottoposto a trapianto renale può vivere una vita qualitativamente buona per molti anni.

Cos’è il rigetto di cui si sente tanto parlare ?

Come si è visto il rene del donatore presenta delle caratteristiche che lo rendono simile ai tessuti del paziente che riceve il trapianto. Simile non vuol dire però identico! Restano nel rene trapiantato caratteristiche di diversità rispetto ai tessuti del ricevente. Il nostro corpo possiede dei mezzi assai complessi e sofisticati per opporsi ai nemici esterni , quali sono i microbi e i virus: questi mezzi costituiscono nel loro insieme il sistema immunitario, il quale entra in azione quando avverte che il nostro corpo è entrato in contatto con un “estraneo” . Il sistema immunitario, che ha il grande merito di difenderci dagli assalti dei virus e dei batteri, è invece un pericoloso ostacolo al successo del trapianto. Infatti esso riconosce che il rene trapiantato è qualcosa di estraneo e per questo mette in funzione tutte le difese di cui è capace , che vengono definite
“rigetto” (cioè rifiuto ). Se non si interviene tempestivamente, riconoscendo i segni del rigetto appena essi si manifestano, si rischia si compromettere in breve tempo il successo del trapianto.

In alcuni casi il riconoscimento è facile : la quantità di urina emessa diminuisce, compare febbre e il rene trapiantato ,se premuto, causa dolore. In altri casi la diagnosi è più difficile, perché il paziente non accusa nessuno di questi disturbi, ma il rigetto è sospettato dal medico per un aumento della creatinina e dell’azotemia. Fortunatamente esistono numerosi esami di laboratorio e stumentali che aiutano il medico a riconoscere il rigetto. Nei casi più difficili, può essere necessaria la biopsia renale (cioè l’esame di una piccola parte del rene prelevata con un ago ) per convalidare il sospetto di rigetto.

Esistono cure efficaci contro il rigetto?

Fortunatamente la Medicina ha fatto importanti passi avanti negli ultimi anni, introducendo numerosi nuovi farmaci che, aggiunti a quelli già noti, consentono di avere strumenti validi per opporsi al rigetto in una percentuale molto elevata di casi?
Ai corticosteroidi, che per semplicità definiremo cortisone, e alla Azatioprina, che per 20 anni hanno costituito gli unici farmaci a disposizione, si sono aggiunti negli anni ,80 la Ciclosporina e negli ultimi anni altri nuovi farmaci ( Micofenolato, Tacrolimus, Rapamicina, Simulect, etc ) che, oltre a garantire una maggiore percentuale di successi, permettono di ridurre significativamente le complicanze dovute proprio alla terapia antirigetto tradizionale. Questi farmaci vengono somministrati ,a partire dalle ore precedenti il trapianto, al fine di prevenire il rigetto. Nel primi giorni dopo il trapianto le dosi dei farmaci sono elevate, poi vengono gradualmente ridotte fino ad assestarsi in dosi piccole dopo alcuni mesi. La terapia antirigetto proseguirà poi fino a quando il rene sarà funzionante , sebbene a dosaggi molto ridotti dopo che sono trascorsi alcuni anni.

Quali sono le principali complicanze causate dalla terapia antirigetto?

Le più pericolose sono senza dubbio le infezioni. I farmaci contro il rigetto abbassano le difese del sistema immunitario. Può accadere che il fisico del paziente venga a contatto con microbi o virus o funghi . In soggetti particolarmente delicati un ritardo nel riconoscimento dell’infezione può avere conseguenze molto gravi, che mettono in pericolo la vita stessa del paziente. E’ pertanto indispensabile che il paziente trapiantato, qualora compaiano dei sintomi sospetti (febbre, debolezza, disturbi digestivi,etc.) avverta subito il nefrologo, che provvederà a fare eseguire, dopo la visita medica, gli esami necessari a formulare la diagnosi corretta e a consigliare, se necessaria, la terapia più adatta alla cura dell’infezione.Altre complicanze non rare sono il diabete, la cataratta e la decalcificazione delle ossa. Il diabete è causato dal cortisone che evidenzia questa malattia in pazienti spesso predisposti ( per presenza della stessa malattia in altri membri della famiglia). Nella maggior parte dei casi si rende necessaria la cura con insulina per tenere sotto controllo il diabete. In alcuni casi più lieve, la sospensione del cortisone si accompagna alla scomparsa del diabete. La cataratta è un progessivo opacamento delle lente contenuta nel nostro occhio, definita “cristallino”. Si tratta di una malattia piuttosto frequente nelle persone anziane non affette da malattie renali, che causa progressivo “annebbiamento” della vista che rende indispensabile, nella maggior parte dei casi, l’intervento chirurgico. Sono colpiti da questa complicanza anche trapiantati non anziani e anche in questo caso la responsabilità maggiore è attribuita al cortisone. L’intervento chirurgico che permette di ripristinare la normale capacità visiva è fortunatamente semplice e viene eseguito nei reparti di oculistica in regime di Day Hospital. La decalcificazione delle ossa può colpire alcune zone molto delicate, come la testa del femore, cioè la parte superiore dell’osso più lungo della gamba, che va dal ginocchio al bacino. Nei casi più gravi, fortunatamente molto più rari che in passato, si è costretti a sostituire la testa del femore, gravemente alterata, con una protesi.
Un ultimo doveroso accenno va fatto sui tumori : la terapia antirigetto sembrerebbe determinare una comparsa di tumori superiore a quella che comunemente si riscontra fra i non trapiantati. Questo vale soprattutto per i tumori della pelle. Per questo ai trapiantati si raccomanda di controllare scrupolosamente l’aspetto della pelle nelle varie parti del corpo e di evitare una eccessiva esposizione ai raggi del sole (la “tintarella” estiva).
Per quanto tempo è in grado di funzionare bene un rene trapiantato?
Quando il rene trapiantato non funziona più bene, cosa succede?

La durata di un trapianto dipende da molti fattori, il principale dei quali è la caratteristica del sistema immunitario del paziente che riceve il trapianto. Nel nostro ambulatorio seguiamo pazienti trapiantati vent’anni fa, il cui rene funziona ancora regolarmente. Pazienti meno fortunati hanno visto funzionare il loro rene trapiantato solo per pochi anni o addirittura per pochi mesi. Quando il rene trapiantato non è più in grado di garantire una giusta depurazione del sangue, il paziente è costretto a riprendere il trattamento dialitico periodico.
Un paziente che è costretto a tornare in dialisi per l’insuccesso del trapianto può sperare di ricevere un altro trapianto con esito migliore?
Certamente, anche se il medici del Centro trapianti che effettueranno il secondo (o , in alcuni casi, il terzo) trapianto devono conoscere molto bene la situazione del sistema immunitario del paziente al fine di utilizzare nel modo migliore, i nuovi farmaci capaci di prevenire un rigetto che in un re-trapianto è più probabile che in un primo trapianto. Anche nel nostro ambulatorio dei trapiantati seguiamo pazienti che, dopo un insuccesso del primo trapianto, portano da parecchi anni un rene ricevuto in un secondo trapianto in grado di funzionare regolarmente.


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